martedì 25 gennaio 2011

Funerali, l'essenza della falsità!

I funerali sono la personificazione della falsità umana. Dovrebbero essere proibiti, o quanto meno avere natura strettamente privata. Solo il defunto assieme ai suoi cari. Un incontro intimo, l'ultimo. Oggi sono stato ad un funerale e non ho potuto fare a meno che osservare certi dettagli, che mi accingo ora a descrivervi.

Vi siete mai chiesti quante di tutte le genti che accorrono in vista di un funerale siano realmente colpite ed affrante dalla perdita di quello che fino a pochi attimi prima era un essere umano? Io si. E la risposta è che sono davvero pochi, quasi nulli se si escludono i parenti. Ma non vi è nulla di sbagliato, anzi è naturale che sia così. Una morte tocca in maniera differente, non dagli occhi di tutti sgorgano lacrime di dolore. Mi sembra logico.

E allora che senso ha ritrovarsi, in dieci, in venti, in trenta, in cento dinanzi alla salma di un uomo o di una donna che ormai non sono più tali? Nessuna se non si è davvero vicini al dolore dei familiari e a quello che stanno subendo. Non ha senso, non ha proprio senso. Non credo vi sia una norma che prescriva l'osservanza di determinati rituali (come quello funebre), nessuno vi obbliga.

Perchè lo si fa allora? Per essere vicini alla famiglia del defunto? Per essere vicini al defunto stesso? (oggettivamente non potrà mai rendersi conto della vostra presenza, ma questa è un'altra storia). Nessuna delle precedenti ipotesi a mio modo di vedere. La verità è che, come sempre, siamo vittime dei tradizionalismi. Si va in chiesa per un funerale esattamente come si va a comprare il giornale dall'edicola di fiducia. Paradossale ma forse vero.

La cosa più ridicola di tutte però non è questa, ma ascoltare tutta l'assemblea funebre recitare parole formali, senza alcuna cognizione di quello che si sta dicendo, senza nessuna particolare attinenza con la morte del povero essere, senza quindi nessun rispetto nei confronti di chi va e di chi resta. Un vero e proprio insulto pubblico autorizzato.

Tuo il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli...

martedì 18 gennaio 2011

Odio la parola "studio"

Perché? Beh, forse non è corretto parlare di odio, ma di vergogna. Esattamente. Provo vergogna nel recitare frasi del tipo "sto studiando" oppure "devo studiare". Lo so che vi sembrerà strano, ma è così. Preferisco frasi come "sto leggendo" o "mi interesso di...". Non pronuncio mai la parola "studio".

Questo, probabilmente, a causa della completa inadeguatezza con la quale questo termine viene oggi utilizzato. Tutti studiano, nessuno o quasi apprende. Sono il primo ad ammettere di non essere mai stato un convinto amante dello studio, o dell'apprendere (ecco, va meglio), e per questo, ancora oggi, l'utilizzo di questo termine, per me, risulta piuttosto strano, anche in situazioni attuali, come in questo istante, in cui mi sto preparando ad affrontare il mio primo esame universitario.

Io non studio, apprendo. Certo, quello che voglio, quando voglio, come voglio. Di una cosa son certo: come già detto, molta gente studia, anche tanto, però pochi apprendono e assimilano in maniera opportuna i relativi contenuti. Io non studio, ma apprendo. Mi vergognerei se studiassi.